Cronologia degli attacchi aerei
12 novembre 1943
Prima incursione
aerea su Arezzo. I rumori degli aerei, inizialmente, vengono ritenuti essere di
aerei tedeschi diretti al vicino aeroporto, e non destano pertanto
preoccupazione; alle 19.10, tuttavia, iniziano a cadere le bombe (l’allarme
suonerà solo dopo che è caduta la quarta). Si tratta di pochi ordigni,
sganciati da un solo Wellington della Mediterranean Allied Strategic Air Force
(MASAF; altra fonte parla invece di aerei della 12th Air Force USAAF, sotto il
controllo della Northwest African Tactical Air Force), che lancia anche 300.000
volantini in tedesco. La prima bomba distrugge una distilleria tra Via Isonzo e
Via Trasimeno, lungo la ferrovia; altre colpiscono lo stabilimento SACFEM
(Società Anonima Costruzioni Ferroviarie e Meccaniche, localmente noto come
«Fabbricone»), lo Stadio Comunale «Campo di Marte», il passaggio a livello di
via Trasimeno (così provocando un’interruzione della linea ferroviaria) e
diverse case nella zona di Via Isonzo; alcune altre (in Via Isonzo, Via Piave e
Via Trasimeno) non esplodono.
Qualche bomba
colpisce anche l’Ospedale Neuropsichiatrico Provinciale, causando due vittime,
alcuni feriti ed ingenti danni che costringeranno alla chiusura fino al 1945.
Oltre 200 pazienti verranno trasferiti a Siena, altri a Bibbiena ed altri,
insieme alla direzione, in una villa vicino ad Anghiari.
Nel resto della
città non vi sono vittime, mentre 12 persone restano ferite in modo non grave (tra
di esse anche Luigi Biagini, ironia della sorte, uno dei pionieri
dell’aviazione militare italiana; altre due saranno successivamente ferite nel
brillamento delle bombe). In città vi è grande confusione e si diffondono varie
voci, tutte infondate: che l’attacco sia stato una rappresaglia per l’uccisione
del partigiano Pio Borri, trucidato da nazifascisti il giorno precedente; che, vista
la sua notevole precisione, sia stato compiuto da un pilota aretino e che
dunque conosce bene la zona, già prigioniero degli Alleati ed ora combattente con
loro a seguito dell’armistizio.
Data la scarsa
consistenza dell’attacco, non vi è pressoché alcun fenomeno di sfollamento;
solo diverse famigli che abitano nella zona della stazione ferroviaria lasciano
le loro case per trasferirsi non in campagna, ma nella città alta.
2 dicembre 1943
Primo vero
bombardamento di Arezzo, da parte di 67 (sarebbero dovuti essere 70, ma tre
sono rientrati subito per guasti) bombardieri medi Martin B-26 Marauder del 319th
e 320th Bombing Group, scortati da 30 caccia Lockheed P-38 “Lighting”
(un trentunesimo è tornato indietro per avarie) del 1st Fighter
Group (per altra fonte, 57 bombardieri della 15th Air Force dell’USAAF), aventi
come obiettivo lo scalo ferroviario (utilizzato in quel momento, dai comandi
tedeschi, per il trasferimento di truppe ed armamenti verso sud). La giornata è
fredda e soleggiata.
Il bombardamento
(verificatosi dopo che l’allarme è suonato per la terza volta) dura solo un
minuto, dalle 11.25 alle 11.26; vengono sganciate 388 bombe da 500 libbre, per
un totale di 97 tonnellate di esplosivo, da un’altezza di circa 3200 metri. Le
bombe colpiscono l’obiettivo, ma finiscono anche sul resto della città: viene
colpito ancora lo stabilimento SACFEM, e grappoli di bombe cadono sulle caserme
della Guardia Nazionale Repubblicana di Via Garibaldi (Caserma Piave, nella quale sono rinchiusi dei militari
italiani prigionieri che riescono a fuggire proprio grazie ai danni causati
dalle bombe: uno di essi, dopo aver aiutato nei soccorsi, si riconsegna
volontariamente), sul Carcere di San Benedetto, sulla Pia Casa di Riposo (il
cui cappellano, don Italo Grotti, rimane ucciso per strada, mentre cerca di
recarvisi per confortare gli anziani), su edifici civili di Via XX Settembre e
Via delle Paniere ed in Via Dovizi (fuori dalle mura). Il 319th Group riesce a
colpire lo scalo ferroviario in modo giudicato soddisfacente dai comandi MASAF,
ma molte bombe finiscono anche nella zona compresa tra la ferrovia e Via
Vittorio Veneto; il 320th Group è molto più impreciso, mancando la ferrovia e
colpendo la SACFEM e le zone dell’Anfiteatro Via Garibaldi, le caserme e le
carceri. I danni inflitti alla ferrovia interrompono le comunicazioni tra nord
e sud e costringono le linee ferroviarie secondarie, aventi capolinea alla
stazione di Arezzo, a trasferirlo altrove.
Le vittime del
bombardamento sono 60 (tra cui la moglie del prefetto Bruno Rao Torres, Ada),
molti altri i feriti. La maggior parte sono rimaste uccise nella zona della
ferrovia e del sottopassaggio per Pescaiola (anche questo obiettivo dell’incursione),
ma altre anche lungo le mura, tra San Lorentino e San Clemente; un uomo è
travolto dal crollo di un terrapieno in vicolo del Marcianello, dietro la
chiesa di San Giuseppino.
Nel primo
pomeriggio ha inizio lo sfollamento.
Più tardi si verifica
un nuovo attacco aereo: alle 20 sedici bombardieri Wellington del 330th Wing
della RAF (otto del 142° Squadron ed otto del 150° Squadron, decollati da
Oudna, vicino a Tunisi) arrivano sulla città, lanciano centinaia di bengala al
fosforo e poi bombe da 500 libbre ed anche due «blockbuster» da 4000 libbre,
cioè 1814 kg (in tutto, 31 tonnellate di bombe). L’obiettivo è ancora lo scalo
merci, ma – nonostante il bel tempo e l’assenza di caccia e contraerea – le
bombe mancano tutte l’obiettivo e finiscono invece sulla città alta, nella
frazione di San Polo, agli Orti Redi, tra il torrente Castro e Via Anconetana;
vengono colpiti il cinema Politeama (dove i numerosi spettatori sono,
fortunatamente, appena usciti), il palazzo della Federazione Fascista, la casa
del Petrarca, la Casa della Zecca ed il parco noto come il Passeggio del Prato.
L’imprecisione (le bombe cadono tutte tra 0,5 e 2,5 miglia dall’obiettivo) è da
alcuni attribuiti al fumo prodotto dai bengala stessi, lanciati a quote
sbagliate. Vengono lanciati anche 96.000 volantini in italiano.
Gli aretini
pensano, a torto, che il secondo attacco sia stato un bombardamento di
precisione avente obiettivi “politici” (il Palazzo della Federazione Fascista),
od un “avviso” alla popolazione di lasciare la città, oppure uno strumento di
guerra “psicologica” per spaventare la popolazione, senza causare molti danni.
Tra gli edifici
colpiti il 2 dicembre vi sono anche il palazzo del Capitano del Popolo ed il
Palazzo Burali, entrambi del Trecento: il primo viene semidistrutto, il secondo
viene completamente demolito dalle bombe (tranne che per il piano terra) e le
sue macerie vengono lanciate dalle esplosioni fino alla Pieve di Santa Maria.
Le bombe demoliscono anche un chiostrino affrescato, risalente al XV secolo,
che unisce la chiesa di San Bernardo al Monastero degli Olivetani. Il Palazzo
Pretorio, sede del Museo Medievale, viene anch’esso gravemente colpito;
l’Istituto Tecnico di Piazza della Badia viene semidistrutto, con la perdita
dei chiostri.
Dopo questi due
bombardamenti nell’arco di poche ore, quasi tutta la popolazione aretina lascia
la città, tanto che alcuni organi fascisti locali lamenteranno che «sfollando
da Arezzo hanno ridotto la città del cavallo rampante simile a Tebe, a Ninive,
Babilonia e Luxor, le città morte dell'antico Egitto»; parecchi sfollati
torneranno giornalmente in città di mattina, restandovi per qualche ora (fin
verso le 11) per poi ripartire. Come ricorderà Raimondo Caparra, «I continui
bombardamenti svuotarono completamente la città. (…) al mattino, fin verso le
11, vi era un certo movimento nella parte alta (…) Ma nel pomeriggio regnava il
silenzio assoluto».
Uffici pubblici e
botteghe private vengono decentrati, e quando l’ospedale sarà colpito – in un
successivo bombardamento – anch’esso verrà trasferito altrove. Tra i pochi che
rimangono in città vi è il vescovo Emanuele Mignone.
È probabilmente
proprio l’abbandono pressoché totale della città che eviterà ad Arezzo i
pesantissimi bilanci di molte altre città, colpite anche meno gravemente.
5 dicembre 1943
Attacco aereo da
parte di bombardieri North American B-25 “Mitchell” della 12th Air Force USAAF.
7 gennaio 1944
Bombardamento da
parte di bombardieri B-25 “Mitchell” e B-26 “Marauder” della 12th Air Force
USAAF, con obiettivo lo scalo ferroviario.
15 gennaio 1944
Altro
bombardamento contro lo scalo ferroviario da parte della 12th USAAF, stavolta
con più grossi Boeing B-17 “Flying Fortress”; viene colpito l’obiettivo, ma
anche il resto della città. Una bomba cade al centro dell’arena dell’anfiteatro
romano, scavandovi un enorme cratere.
17 gennaio 1944
Bombardamento da
parte della 15th USAAF, intorno a mezzogiorno, con quadrimotori Consolidated
B-24 “Liberator”. Le bombe colpiscono l’obiettivo (sempre lo scalo ferroviario)
ma anche il resto della città.
Un ordigno centra
la trecentesca chiesa di San Bernardo, distruggendola insieme all’ala
occidentale dell’adiacente ex Monastero Olivetano, sede del Museo Archeologico
di Arezzo (sebbene già da dicembre si sia cominciato il trasferimento delle
collezioni in luoghi più sicuri, molti reperti fossili dell’aretino – l’ala
colpita è infatti quella paleontologica – non sono stati ancora rimossi, e
vanno così perduti). Viene colpito anche un tratto dell’ambulacro
dell’anfiteatro romano.
22 gennaio 1944
Nuovo bombardamento
della 15th USAAF (con B-17 e B-24) contro la stazione ferroviaria. A seguito
dei danni subiti nei bombardamenti di gennaio, la SACFEM licenzierà 800 operai.
Anche la crescente disoccupazione, dovuta alla chiusura totale o parziale delle
fabbriche colpite, contribuirà al forte sfollamento.
31 gennaio 1944
Attacchi di
cacciabombardieri Curtiss P-40 “Warhawk” e North American A-36 “Apache” della
12th USAAF.
8 febbraio 1944
Incursione
notturna. Tredici bombardieri della RAF MAAF (Mediterranean Allied Air Force)
sganciano le loro bombe contro lo scalo ferroviario.
14 febbraio 1944
Una formazione di
400 bombardieri “Liberator” della 15th USAAF viene inviata ad inviare gli scali
ferroviari di Arezzo, Brescia, Mantova, Modena, Prato, Pisa e Verona. Il
maltempo provoca la parziale dispersione delle formazioni, che attaccano vari
obiettivi secondari e “targets of opportunity”; comunque Arezzo viene
bombardata.
19 marzo 1944
Attacco minore da
parte di bombardieri B-26 della 12th USAAF.
21 marzo 1944
Attacco minore da
parte di bombardieri B-26 della 12th USAAF.
22 marzo 1944
Attacco minore da
parte di bombardieri B-26 della 12th USAAF.
26 marzo 1944
Attacco minore da
parte di bombardieri B-26 della 12th USAAF.
1° aprile 1944
Attacco minore di
cacciabombardieri Republic P-47 “Thunderbolt” contro la ferrovia.
2 aprile 1944
Attacco di
bombardieri B-17 della 12th USAAF.
10 aprile 1944
Attacco minore di
bombardieri B-25 e B-26 della 12th USAAF.
11 aprile 1944
Attacco minore di
bombardieri B-26 della 12th USAAF.
12 aprile 1944
Attacco di
bombardieri B-17, caccia P-40 ed A-36 e bombardieri in picchiata Curtiss A-25
“Shrike” della 12th USAAF.
14 aprile 1944
Attacco minore di
B-26 della 12th USAAF.
18 aprile 1944
Attacco minore di
P-47 della 12th USAAF.
20 aprile 1944
Attacchi di B-24,
B-25, P-47 e bombardieri leggeri Douglas A-20 “Havoc” della 12th USAAF.
22 aprile 1944
Attacco minore di
B-25 e B-26 della 12th USAAF.
24 aprile 1944
Attacco minore di
B-24 ed A-36 della 12th USAAF.
25 aprile 1944
Attacco minore di
A-20 della 12th USAAF.
28 aprile 1944
Attacco aereo
minore da parte di aerei della 12th USAAF.
29 aprile 1944
Attacchi minori di
P-40 e P-47 della 12th USAAF.
Alla fine di
aprile, non rimane in città che un centinaio di abitanti.
1° maggio 1944
Attacchi minori di
P-40 e P-47 della 12th USAAF.
10 maggio 1944
Attacco minore di
B-26 della 12th USAAF.
13 maggio 1944
Bombardamento
notturno da parte di 20 bombardieri della RAF MAAF, ancora una volta contro la
stazione ferroviaria. (Per i danni inflitti dai bombardamenti Alleati e dai
sabotaggi tedeschi, la Ferrovia dell’Appennino Centrale, avente capolinea
proprio nella stazione di Arezzo, cesserà per sempre l’attività).
23 maggio 1944
Attacchi minori
di B-25, B-26 e P-47 della 12th USAAF.
28 maggio 1944
Attacco di B-17 e
B-25 della 12th USAAF.
12 giugno 1944
Attacco minore da
parte di aerei della 12th USAAF.
14 giugno 1944
Attacco minore da
parte di aerei della 12th USAAF.
15 luglio 1944
Attacco minore da
parte di aerei della 12th USAAF.
16 luglio 1944
Attacco minore da
parte di aerei della 12th USAAF. Arezzo viene liberata il 16 luglio 1944.
Danni e vittime
In base al
riepilogo redatto dopo la fine della guerra dal dottor Mario Borri, dirigente
dei servizi di Stato Civile del Comune di Arezzo, sulla base dei documenti
originali, le vittime aretine delle incursioni aeree furono 179 (lo 0,3 % delle
60.284 persone che componevano la popolazione di Arezzo nel 1936), un bilancio
relativamente contenuto rispetto alla vastità delle distruzioni; altri 294 civili
persero la vita per «mine, cannoneggiamenti, ordigni». Altre fonti, non
confermabili, parlano invece di oltre 300 vittime e circa 500 feriti per i
bombardamenti.
La città subì
ripetuti bombardamenti, aventi tutti come obiettivo lo scalo ferroviario, nodo
d’importanza strategica sulla linea Roma-Firenze; quest’ultimo, infatti, era
divenuto un’importante base logistica per le forze tedesche, per le quali era
la testa di linea dei rifornimenti che giungevano da nord per ferrovia.
Secondo il libro
“Piani di ricostruzione e città storiche, 1945-1955” di Osanna Fantozzi Micali,
in tutto vennero sganciate su Arezzo circa 1800 tonnellate di bombe. I danni
materiali furono ingenti: stando ai dati dell’appendice del 1948
dell’Enciclopedia Treccani, il 60 % degli edifici venne distrutto o
danneggiato, lasciando senza tetto il 40 % della popolazione di Arezzo. Le
distruzioni furono particolarmente pesanti nel quartiere attorno alla ferrovia
e nei quartieri industriali. I dati del libro di Fantozzi Micali (che cita come
fonte il prospetto compilato dal Genio Civile il 5 aprile 1946) sono invece
differenti: su 1430 vani pubblici, 890 furono distrutti o danneggiati (cioè il
62,24 %); su 26.000 vani privati, 11.500 furono distrutti o danneggiati (il
44,23 %); i senzatetto furono circa 10.000, cioè un sesto della popolazione. I
quartieri più colpiti furono quelli di Colcitrone/San Niccolò e Santo Spirito,
dove, come mostrava una mappa realizzata nel dopoguerra, non vi era quasi un
edificio che non fosse stato colpito, una via che fosse stata risparmiata. La
parte vecchia del quartiere Santo Spirito, ad ovest del corso Vittorio
Emanuele, era stata praticamente rasa al suolo.
Subì gravissimi
danni anche la zona compresa tra le vie Piero della Francesca, Spinello,
Niccolò Aretino, Antonio Guadagnoli, Bruno Buozzi, dell’Orto, dei Palagi,
Cesalpino, Cavour e Porta Buia, le piazze Umberto, Principe Amedeo e della
Stazione ed due tratti di mura cittadine (tra cui quelle del bastione
Bastanzetti).
Gran parte della
Arezzo medievale andò distrutta, anche se i successivi lavori di ricostruzione
riuscirono a farla tornare come prima. Tra gli edifici di valore storico ed
architettonico, subì gravi danni il rinascimentale Palazzo della Badia, al
quale le bombe demolirono gran parte del quattrocentesco cortile realizzato da
Giuliano da Maiano. Il trecentesco Palazzo del Capitano del Popolo venne
parzialmente distrutto (fu ricostruito negli anni Sessanta); il neoclassico
Palazzo Albergotti subì gravi danni, così come Palazzo Spigaglia, e fu pesantemente
danneggiato anche Palazzo Altucci, risalente al XIII secolo, con la perdita di
alcuni dipinti ivi conservati. La casa del poeta Francesco Petrarca (XIII
secolo) fu semidistrutta, quella dell’architetto e pittore Giorgio Vasari (XVI
secolo) gravemente danneggiata. Palazzo Burali (detto anche Palazzo della
Fonte), edificio trecentesco situato vicino al palazzo del Capitano del Popolo,
venne completamente distrutto dal primo piano in su: così lasciato, per
settant’anni rimase una visibile ferita nel centro storico, fino alla sua
ricostruzione verificatasi tra il 2012 ed il 2014.
Altri importanti
edifici che vennero distrutti o gravemente danneggiati furono il Palazzo
Pretorio (XIII-XIV secolo, ospitava il Museo Medievale), il Palazzo del Governo
(costruito tra il 1937 ed il 1939, in stile razionalista-classicista, da
Giovanni Michelucci: sotto le bombe andò completamente distrutto il salone
delle feste, poi ricostruito nel 1947, e furono distrutte o danneggiate anche
le statue della facciata), il Palazzo del Comune (risalente al 1333), il
Palazzo del Genio Civile (anch’esso costruito da Michelucci: iniziato nel 1937,
era stato completato appena nel 1941), il Palazzo della Questura e la sede
della Pinacoteca. La sede dell’Istituto Magistrale, un edificio risalente al
1550 (ex convento di monache Clarisse), venne in larga parte demolito dalle
bombe; sopravvissero il chiostro cinquecentesco e l’ex chiesa adibita a
palestra, mentre fu distrutta una cappella con affresco del Vasari del 1542.
L’ex Monastero degli
Olivetani (del XV secolo), sede del Museo Archeologico, venne anch’esso
pesantemente danneggiato; ad essere colpita fu l’ala occidentale, con perdita
di parte delle collezioni di fossili. Il Museo poté riaprire solo il 1°
settembre 1951.
Una bomba cadde
al centro dell’anfiteatro romano, ed un’altra ne colpì una sezione di
ambulacro.
Tra le chiese,
quella trecentesca di San Bernardo venne quasi completamente distrutta
(sopravvisse la facciata, mentre furono distrutte la navata – in seguito
ricostruita –, il campanile – ricostruito da pochi anni – ed il chiostro, con i
suoi affreschi di Marco da Montepulciano sulla vita di San Bernardo), con la
perdita di molte opere d’arte da essa contenute; l’antichissima chiesa di San
Bartolomeo, antecedente al 1150, subì gravi danni (oggi è sconsacrata); della
millenaria chiesa romanica di Santa Croce (esistente già nel 1081) rimase
soltanto l’abside e venne abbattuto anche il campanile (la chiesa venne poi
ricostruita). La chiesa di San Pier Piccolo, risalente al XI secolo ma
ricostruita nel XVII secolo, perse nel 1944 parte della propria facciata;
vennero gravemente danneggiate le chiese di Santa Caterina (costruita tra il
1769 ed il 1771) e di San Niccolò (risalente all’anno 1000 ma rifatta nel 1631).
Danni rilevanti subirono anche la duecentesca chiesa di San Domenico, la chiesa
paleocristiana di San Lorenzo, la cinquecentesca chiesa di Santa Maria in
Gradi, la chiesa gotica di San Michele, la quattrocentesca chiesa di Santa
Maria delle Grazie e la chiesa romanica di Santa Maria della Pieve. La
trecentesca basilica di San Francesco, fortunatamente, ebbe solo danni di
leggerissima entità, che non interessarono gli affreschi di Piero della
Francesca.
In tutto, cinque
chiese vennero a fine guerra registrate come diroccate (Santa Croce, San
Bernardo, San Jacopo, San Pier Piccolo e Spirito Santo), mentre altre sei
(Santa Caterina, Santa Maria in Gradi, la Pieve di Santa Maria, la Badia, San
Michele e San Niccolò) risultarono gravemente lesionate.
I danni non si
limitarono al patrimonio artistico e religioso; oltre ad innumerevoli
abitazioni, furono distrutti o gravemente danneggiati l’Ospedale
Neuropsichiatrico, la Cantina sperimentale, il Laboratorio d’Igiene, il mercato
coperto delle Logge del Grano (che crollarono parzialmente) e quasi tutti gli
stabilimenti industriali (gravi danni ebbe la SACFEM, e lo stabilimento della
Società Romana Zuccheri chiuse già nel 1943). La Banca Popolare di Arezzo fu
centrata da una bomba; della scuola che si affacciava su Piazza della Badia rimase
solo la facciata (fu in seguito ricostruita com’era). Le bombe non
risparmiarono neppure il cimitero.
Lo storico
Giorgio Spini, entrando ad Arezzo al seguito delle truppe Alleate, il 16 luglio
1944, così descrisse le condizioni della città: «Non mi ero reso conto che
entrando ad Arezzo mi sarei trovato in una specie di Pompei, fatta solo di
rovine e di desolazione. Infatti, la desolazione di quella città superava
qualsiasi previsione (…) Le rovine erano tante e tanto disastrose da chiedersi
quando mai quello spettro di città sarebbe tornato alla vita».
Il 5 dicembre
1945 il Ministero dei Lavori Pubblici incluse Arezzo nell’elenco dei Comuni più
danneggiati dalla guerra. I lavori di ricostruzione richiesero più di un
decennio; nella zona del Colcitrone, esistevano parecchi edifici distrutti
ancora negli anni Sessanta.
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