martedì 16 aprile 2019

Bombardamenti di Ancona


Cronologia degli attacchi aerei

16 ottobre 1943
Primo bombardamento di Ancona. Verso mezzogiorno (l’allarme suona alle 11.27, in una soleggiata mattinata autunnale), 36 bombardieri B-25 Mitchell del 57° Bombing Wing della 12th Air Force USAAF, volando a 500-700 metri di altezza, sganciano le loro bombe (circa 400, di tipo dirompente, nell’arco di 15-20 minuti) con obiettivo lo scalo ferroviario, ma come spesso accade il bombardamento è ben poco accurato, e gran parte delle bombe finiscono sulla città: particolarmente colpiti via Marconi, corso Carlo Alberto, Via De Pinedo, il Cavalcavia ed i rioni Archi, Palombella (il più colpito, essendo situato lungo la ferrovia), Piano San Lazzaro e Montirozzo.
L’acquedotto viene gravemente danneggiato; sin da questo primo bombardamento verranno a mancare in città sia l’acqua potabile che il gas.
Nel rione Palombella, una rotaia contorta forma un arco sopra la strada, accanto al corpo di un prete ucciso dai cavi dell’alta tensione caduti a terra. In Corso Carlo Alberto un gruppo di persone, sorpreso mentre era in coda per il pane davanti al Forno Morbidelli, cerca riparo nel rifugio del Forno, che viene però colpito: muoiono tutti tranne il garzone del forno, riparato dallo scoppio dal bancone e sopravvissuto poi, nei giorni successivi (passeranno infatti giorni prima che i soccorritori riescano a rimuovere le macerie), nutrendosi con il pane del forno stesso. In tutta la città, sono molte le vittime che non possono essere salvate, perché l’inadeguatezza dei mezzi disponibili impedisce di estrarle in tempo dalle rovine.
La stazione ferroviaria, obiettivo del bombardamento, viene colpita e subisce gravi danni; sono danneggiati gli scambi, semidistrutto il deposito locomotive, interrotte le comunicazioni telefoniche e telegrafiche nonché partenze ed arrivi dei treni.
Le vittime civili sono oltre 200 (altra fonte invece parla di 165, un’altra ancora di 233), i feriti circa 300.
La credenza che la città sarebbe stata risparmiata perché “antifascista, repubblicana e anarchica” è andata in frantumi, assieme alle prime centinaia di case, ma in molti credono che il bombardamento sia avvenuto per errore. Inizia lo sfollamento, che però è ancora molto contenuto; le autorità provinciali vengono trasferite ad Osimo.
20 ottobre 1943
Attacco aereo sulla frazione di Varano, da parte di una decina di caccia britannici; un treno tedesco, carico di munizioni, viene mitragliato e salta in aria, provocando il crollo di alcune abitazioni. Restano uccisi alcuni militari tedeschi e quattro civili. Questo attacco induce alcuni anconetani, sfollati a Varano, a tornare in città.
Qualche giorno dopo, aerei mitragliano la zona di Pontelungo di Pinocchio ed il Viale della Vittoria.
26 ottobre 1943
Attacco aereo minore.
31 ottobre 1943
In mattinata, due caccia mitragliano Villa Caucci e poi Villa Maria, requisite dalle forze tedesche. Da San Pancrazio Talentino sono decollati dodici bombardieri B-25 Mitchell per bombardare Ancona, ma il maltempo li costringe a rientrare senza compiere la missione: ma l’attacco è solo rimandato all’indomani.
1° novembre 1943
Giornata soleggiata e mite, quasi primaverile. Alle 11.55 (12.16 per altre fonti) sei bombardieri North American B-25 Mitchell, dopo aver rinunciato ad attaccare Rimini – loro obiettivo prestabilito – per la ridotta visibilità, lasciano cadere in zona stazione qualche bomba che colpisce Via De Pinedo nei pressi del Cavalcavia, distruggendo un tratto di acquedotto comunale, e causano gravi danni in Via Saffi ed in Via Sottomare.
Dopo meno di un’ora, alle 12.45 circa (12.56 per altre fonti), altri 37 B-25, divisi in tre gruppi di dodici velivoli ciascuno, più uno (altra fonte parla di 72 aerei, divisi in tre gruppi di 24 ciascuno; altra ancora di 24 bombardieri in tutto) della 12th Air Force USAAF effettuano un nuovo bombardamento di Ancona, sorvolando la città in tre ondate (da quota 1500-2000 metri) nell’arco di una ventina di minuti, avendo come obiettivi il porto e lo scalo ferroviario. Né la contraerea né la caccia intervengono.
Il bombardamento è ancora più impreciso di quello precedente, con esito catastrofico: vengono colpiti gli obiettivi (il cantiere navale subisce gravi danni, in porto si capovolge ed affonda l’incompleto incrociatore leggero Ottaviano Augusto, e la nave reale Savoia viene incendiata ed affondata all’ormeggio) ma anche tutto l’abitato, e specialmente la città vecchia, che si estende proprio attorno al porto. Particolarmente danneggiati i rioni Guasco (dove si trova la cattedrale), San Pietro e Porta Pia, ed in special modo Via del Comune, Piazza San Francesco, Via Carducci, Piazza Roma, Via Menicucci, Via Marsala, Via Castelfidardo, Piazza Stamira, Via Fanti, Via Indipendenza, Piazza Cavour ed il Viale della Vittoria. Quasi tutti gli edifici distrutti sono nella città vecchia, caratterizzata da costruzioni in muratura di mattoni laterizi e malta di calce idraulica, con solai di legno. Molti di questi palazzi, particolarmente vulnerabili alle esplosioni, vengo completamente sgretolati dalle bombe. Sono distrutti o gravemente danneggiati anche molti edifici pubblici, tra cui il Palazzo del Governo (che crolla parzialmente) ed il Palazzo degli Anziani (la sede del Comune), ambedue risalenti al tardo Medioevo/Rinascimento, nonché alcune chiese: la chiesa di San Lorenzo è completamente distrutta, quelle di Santa Maria della Misericordia, San Cosma, San Domenico e Santa Maria della Piazza sono danneggiate. La chiesa di San Domenico viene colpita da due bombe mentre è affollata di fedeli, sfondando il tetto; la balaustra dell’altare del Sacro Cuore travolge una donna. Nondimeno il parroco, padre Pietro Carpani, affiggerà un avviso: «il parroco di San Domenico avverte che rimarrà in servizio fino a che ci sarà un solo parrocchiano che avrà bisogno del suo aiuto».
Il settecentesco Palazzo D’Avalos, in piazza del Senato, viene completamente distrutto, così come lo storico Scalone Nappi che porta al Duomo.
Il fumo degli incendi si mescola alla polvere degli edifici crollati, avvolgendo tutta la città e rendendo difficile il respiro.
Il peggio si verifica però nel rifugio detto delle Carceri (in via Birarelli, all’epoca via Fanti): un’ampia galleria a forma di L maiuscola (una delle tre forme consentite per i rifugi antiaerei pubblici: le altre erano X e U) e divisa in due sezioni, scavata nella falda collinare marnosa del Colle Guasco nei pressi del carcere della città, detto di Santa Palazia. Realizzato per i detenuti del carcere (Casa di Pena e Carcere Minorile), le guardie carcerarie e le loro famiglie, non è ancora stato ultimato e non è stato sottoposto all’approvazione del tecnico del Comitato preposto, né la direzione del carcere ha chiesto ad esso consigli su come costruirlo (non è classificato come rifugio antiaereo pubblico, e nemmeno privato); ciononostante, è considerato dagli anconetani come il più sicuro della città, così sono in centinaia a cercarvi riparo: oltre ai carcerati ed alle guardie, anche gli abitanti delle case dei dintorni e sedici bambine (assieme a due suore ed una maestra) del Collegio per orfane Giovagnoni Birarelli (tutte le bambine dell’istituto, tranne la tredicenne Maria Orlandini che, avendo perduto il cappello, è in punizione e rimane nell’istituto insieme alla superiora ed alla suora del servizio mensa: saranno le uniche a salvarsi). Detenuti e guardie si sistemano in un ramo della galleria, i cittadini nell’altro.
Durante l’incursione, il Carcere di Santa Palazia viene anch’esso colpito da quattro bombe da 500 libbre: una nel cortile, due sull’edificio stesso ed una all’ingresso di via Fanti.
Due bombe cadono, più o meno contemporaneamente, ai due ingressi del rifugio; questo non crolla, ma lo spostamento d’aria causato dallo scoppio dei due ordigni – nonostante l’imbocco della galleria sia protetto da due quinte sfalsate in muratura e da una di sacchi di terra, che fermano tutte le schegge – è sufficiente, con l’«azione di soffio e successiva depressione» provocata nel rifugio, ad uccidere quasi tutti gli occupanti del ramo dove si trovano i “civili”. Si salvano in pochissimi: una bambina di quattro mesi, Gisella Bendelari; una guardia carceraria, Giovanni Nobili; il sedicenne Carlo Marcellini con la madre ed il fratello; la sedicenne Itala Andreucci, inizialmente creduta morta. Alcuni altri sopravvissuti, rimasti intrappolati sotto le macerie di crolli parziali o sotto paraschegge semidistrutti, non possono essere soccorsi.
Oltre a centinaia di cittadini, muoiono tutte le orfanelle e le suore del Giovagnoni Birarelli, il direttore del carcere, Michele Turchio, e 9 guardie carcerarie.
I carcerati, sistemati nell’altro ramo della galleria (rivolto verso il mare), restano temporaneamente intrappolati, ma non sono investiti dallo spostamento d’aria, e molti di loro sopravvivono; sono anzi proprio i detenuti ad aprire il varco che permette ai pochi superstiti del ramo “cittadino” di uscire. Tra carcerati, guardie e cittadini, non si salvano che in 27 su 751 occupanti del rifugio.
Solo 157 salme verranno recuperate (e sepolte inizialmente nel cortile del carcere, poi trasferite nel cimitero delle Tavernelle a fine anni Cinquanta), poi, non essendo possibile estrarre le altre, si sigillerà definitivamente il rifugio con la costruzione di alcuni muri, trasformandolo nel temporaneo sepolcro di centinaia di anconetani: i loro resti sarebbero stati recuperati solo tra il 1953 ed il 1959 (nel 2013, a settant’anni di distanza dalla strage, il rifugio è stato restaurato, riaperto e reso visitabile quale memoriale della tragedia).
Molti altri sono i morti nel resto della città; le macerie sparse dappertutto (insieme alla mancanza o distruzione dei mezzi) impediscono o rallentano l’opera dei soccorritori, che nonostante i loro instancabili sforzi non sempre riescono a salvare le persone intrappolate.
Un’altra strage, molto meno nota, si verifica anch’essa in un ricovero antiaereo: una cinquantina di persone muore infatti in uno scantinato del Palazzo D’Avalos, trasformato in rifugio e colpito in pieno da una bomba.
In tutto, le vittime civili ufficialmente accertate di questo bombardamento sono 875; quelle reali, forse, in numero molto maggiore: alcune stime, non confermabili, parlano anche di 1500-2000 vittime. A titolo di esempio, la relazione stilata all’epoca dalla Prefettura di Ancona e dall’UNPA stimò che fossero state circa 400-500 le persone morte nel rifugio delle Carceri, ma ricerche più recenti hanno scoperto che furono in realtà molte di più, addirittura 724.
2 novembre 1943
Nuovo bombardamento da parte di aerei della 12th USAAF, contro lo scalo ferroviario; di nuovo viene colpita anche la città vecchia, soprattutto il già devastato rione Guasco. Vi è un’unica vittima, proprio in questa zona.
7 novembre 1943
Altro attacco di bombardieri della 12th USAAF, diretto contro il porto; questo viene colpito ma così anche la città, con altre 22 vittime civili. Tra di esse vi sono altre 11 guardie del carcere di Santa Palazia, il procuratore Ettore Cappello, una suora ed un infermiere, tutti impegnati nelle operazioni per rimuovere le macerie e recuperare i cadaveri delle vittime uccise nel rifugio durante l’incursione del 1° novembre. Questa nuova strage induce a sospendere definitivamente il recupero e sigillare le uscite per evitare la diffusione di epidemie.
La chiesa di Santa Maria della Misericordia viene colpita ancora e completamente distrutta.
25 novembre 1943
Attacco aereo minore.
26 novembre 1943
Nuovo bombardamento su Ancona da parte di 24 bombardieri della 12th USAAF. Colpiti sia il porto – l’obiettivo – che la città. Due vittime civili.
A fine novembre, su circa 60.000 abitanti del centro urbano, solo 15.000-20.000 vi risiedono ancora: gli altri sono sfollati.
2 dicembre 1943
Bombardamento navale notturno; vengono sparati oltre cento proiettili da 120 mm, due dei quali esplodono nel parco dell’Ospedale Civile Umberto I, frantumando i vetri di un reparto e danneggiando un serbatoio d’acqua.
8 dicembre 1943
Altri 24 bombardieri della 12th USAAF, poco dopo le 12.04, sganciano le loro bombe (in un unico passaggio) contro la stazione ferroviaria, ma viene colpita la città, specialmente i rioni Piano San Lazzaro e Posatora ma anche Piazza d’Armi, Pinocchio, Palombare, Grazie; molte case vanno distrutte e le comunicazioni sono interrotte. Ben 32 bombe cadono sul Manicomio Provinciale, distruggendone gran parte ed uccidendo 32 pazienti, 4 suore e 9 tra medici ed infermieri. Le vittime civili usualmente riportate per questa incursione sono 42, ma in realtà furono 45 nel solo Manicomio. I feriti sono una trentina.
Altre migliaia di anconetani sfollano; in città rimangono in 7800.
2 gennaio 1944
Bombardamento navale.
8 gennaio 1944
Bombardamento navale.
9 gennaio 1944
Bombardamento della 12th USAAF contro porto e scalo ferroviario; al solito, il bombardamento è impreciso e viene colpito anche il centro storico. Nove vittime.
11 gennaio 1944
Attacco aereo minore.
19 gennaio 1944
Attacco aereo minore.
29 gennaio 1944
Bombardamento, questa volta della 15h Air Force dell’USAAF, con obiettivo lo scalo ferroviario; di nuovo viene colpita anche al città. Una vittima.
A fine gennaio sono rimaste ad Ancona solo 4000 persone: i pochi decisi a non lasciare le loro case a tutti i costi, e che dividono il loro tempo tra la casa ed il rifugio; e parte del personale comunale, rimasto per assicurare loro i servizi essenziali.
2 febbraio 1944
Attacco aereo minore.
28 febbraio 1944
Attacco aereo minore.
29 febbraio 1944
Attacco aereo minore.
1° marzo 1944
Attacco aereo minore.
2 marzo 1944
Attacco aereo minore.
3 marzo 1944
Attacco aereo minore. Viene colpita la nave Botticelli (?), ormeggiata alla banchina Giovanni da Chio.
16 marzo 1944
Attacco aereo minore.
17 marzo 1944
Attacco aereo minore.
23 marzo 1944
Attacco aereo minore.
24 marzo 1944
Bombardamento della 15th USAAF contro lo scalo ferroviario, ma molte bombe finiscono anche sulla città.
29 marzo 1944
Aerei della 15th USAAF, impossibilitati ad attaccare l’obiettivo primario per essi designato, bombardano Ancona. Oltre agli obiettivi è colpita la città, con un morto tra la popolazione civile.
30 marzo 1944
Attacco aereo minore.
31 marzo 1944
Attacco aereo minore.
8 aprile 1944
Attacco aereo minore.
11 aprile 1944
Nuovo bombardamento della 12th USAAF contro porto e scalo ferroviario. Di nuovo, l’imprecisione fa sì che sia colpita anche la città.
12 aprile 1944
Attacco aereo minore.
13 aprile 1944
Bombardamento della 12th USAAF, con obiettivo la stazione ferroviaria. Questa è colpita, ma così pure l’abitato.
14 aprile 1944
Bombardieri della 12th USAAF sganciano di nuovo su Ancona dopo aver dovuto rinunciare all’obiettivo primario, che si trova altrove. Le bombe cadono sulla città, uccidendo altri 14 civili.
16 aprile 1944
Attacco aereo minore.
17 aprile 1944
Attacco aereo minore.
18 aprile 1944
Attacco aereo minore. Colpito il porto.
19 aprile 1944
Bombardamento della 12th USAAF contro lo scalo ferroviario.
20 aprile 1944
Bombardamento della 15th USAAF contro lo scalo ferroviario (i bombardieri fanno parte di un gruppo di 300 inviato ad attaccare Ancona, Padova, Mestre, Trieste e Treviso). Come sempre, viene colpita anche la città.
23 aprile 1944
Attacco aereo minore.
25 aprile 1944
Attacco aereo minore.
29 aprile 1944
Attacco aereo minore.
2 maggio 1944
Attacco aereo minore; colpito lo scalo ferroviario.
4 maggio 1944
Attacco aereo minore.
5 maggio 1944
Attacco aereo minore.
7 maggio 1944
Attacco aereo minore.
10 maggio 1944
Attacco aereo minore.
11 maggio 1944
Attacco aereo minore; colpiti lo scalo ferroviario e la zona De Pinedo.
15 maggio 1944
Attacco aereo minore.
16 maggio 1944
Attacco aereo minore.
17 maggio 1944
Bombardamento della 15th USAAF contro lo scalo ferroviario; colpita anche la città, con due vittime civili.
18 maggio 1944
Attacco aereo minore.
19 maggio 1944
Attacco aereo minore.
21 maggio 1944
Attacco aereo minore.
22 maggio 1944
Attacco aereo minore.
26 maggio 1944
Attacco aereo minore.
27 maggio 1944
Attacco aereo minore.
29 maggio 1944
Attacco aereo minore.
1° giugno 1944
Attacco aereo minore.
2 giugno 1944
Attacco aereo minore.
3 giugno 1944
Attacco aereo minore.
4 giugno 1944
Attacco aereo minore.
5 giugno 1944
Attacco aereo minore.
6 giugno 1944
Attacco aereo minore.
8 giugno 1944
Attacco aereo minore.
10 giugno 1944
Nuovo bombardamento della 15th USAAF. Viene colpita la città; tre vittime civili.
12 giugno 1944
Attacco aereo minore.
13 giugno 1944
Attacco aereo minore.
14 giugno 1944
Attacco aereo minore.
15 giugno 1944
Attacco aereo minore.
16 giugno 1944
Attacco aereo minore.
18 giugno 1944
Attacco aereo minore.
21 giugno 1944
Attacco aereo minore.
22 giugno 1944
Attacco aereo minore.
23 giugno 1944
Attacco aereo minore.
24 giugno 1944
Attacco aereo minore.
25 giugno 1944
Attacco aereo minore.
26 giugno 1944
Attacco aereo minore.
27 giugno 1944
Attacco aereo minore.
29 giugno 1944
Attacco aereo minore.
1° luglio 1944
Attacco aereo minore.
3 luglio 1944
Attacco aereo minore.
5 luglio 1944
Attacco aereo minore.
7 luglio 1944
Bombardamento d’artiglieria: il fronte è vicinissimo.
8 luglio 1944
Altro bombardamento d’artiglieria.
9 luglio 1944
Attacco aereo minore e bombardamento d’artiglieria.
13 luglio 1944
Sporadici lanci di alcune bombe e spezzoni, da parte di aerei di passaggio, durante la giornata. Pochi danni, nessuna vittima.
14 luglio 1944
Alcune bombe cadono nella notte nella zona di Capodimonte ed in periferia. Distrutte un paio di abitazioni, danneggiate alcune altre, nessuna vittima. Non è stato un vero bombardamento, solo il lancio di qualche aereo di passaggio.
15 luglio 1944
Attacco aereo minore.
16 luglio 1944
Attacco aereo minore.
17 luglio 1944
Attacco aereo minore.
Le truppe Alleate raggiungeranno Ancona il 19 luglio: nella città semidistrutta troveranno soltanto 4000 persone delle oltre 62.000 (senza contare gli abitanti delle frazioni) che vi risultavano residenti nel dicembre 1939. Le altre sono tutte sfollate o senzatetto (od entrambe le cose); il paesino di Cassero di Camerata Picena, ad esempio, è invaso da 800 sfollati anconetani, più della popolazione stessa del piccolo centro (700 persone). Ancora nel novembre 1946, meno di 45.000 anconetani saranno tornati nelle loro case.

Danni e vittime

Secondo i dati ufficiali, furono 1182 gli abitanti di Ancona che morirono sotto le bombe: l’1,5 % delle 78.639 persone che componevano la popolazione del Comune nel 1936, e l’1,9 % delle 62.313 che risultavano residenti nel centro urbano (le altre 20.000 circa vivevano nelle frazioni) al dicembre 1939. Come spesso accade, è possibile che il numero effettivo sia stato anche superiore, sebbene cifre come quella di 4000 vittime che talvolta circola sono probabilmente eccessive; alcune fonti parlano di 2782 vittime civili (suona però strana la “somiglianza” con la cifra di 1182, riportata nel 1960 dal Comune di Ancona: forse “2782” è frutto di un errore di trascrizione di “1182”). I feriti furono oltre 2000.
Le cavità naturali ed artificiali disponibili nel terreno collinare avrebbero dovuto garantire un miglior rifugio rispetto a quelli di fortuna ricavati nelle cantine – unica possibilità in molte altre città –, e di ricoveri pubblici ad Ancona ve ne erano 44, ma la strage del rifugio delle Carceri mostrò che nemmeno questi costituivano un riparo sicuro.
Obiettivi costanti, nei bombardamenti di Ancona – la città subì, a seconda delle fonti, 142 o 184 tra bombardamenti veri e propri ed attacchi aerei minori –, furono il suo porto ed il suo scalo ferroviario; entrambi gli obiettivi erano ubicati in mezzo a zone densamente popolate, ed il centro storico della città si estendeva proprio attorno al porto.
L’abituale imprecisione dei bombardieri statunitensi fece il resto. La struttura particolarmente fragile dei palazzi della città vecchia, menzionata più sopra, significò la distruzione quasi completa del centro storico della città: il rione Porto (che si estendeva sulle pendici del Colle Guasco, dalla cattedrale di San Ciriaco al porto), che conservava ancora intatte le sue caratteristiche medievali (quelle strette e pittoresche stradette, ricordate nel 1948 dall’Enciclopedia Treccani che ne lamentava la perdita, si prestavano particolarmente alla distruzione) ed andò interamente distrutto; il rione di San Pietro, anch’esso ricco di edifici antichi ed antichissimi; ed in generale gran parte dell’Ancona medievale e rinascimentale. Questa parte di Ancona oggi vive soltanto nelle riprese del film Ossessione, che tra quelle vie fu girato nel 1942, appena un anno prima che esse sparissero per sempre.
La sfortuna della città fu aggravata dalla sua posizione: trovandosi proprio sulla rotta percorsa dai bombardieri Alleati decollati dalle basi pugliesi e diretti in Nord Italia, oltre ai bombardamenti preordinati subì anche incursioni “di ripiego” da parte di formazioni che (ad esempio, per il maltempo sull’obiettivo) avevano dovuto rinunciare agli obiettivi originari. (Questo continuo traffico aereo, per di più, ebbe un pesante impatto sui nervi degli abitanti rimasti in città, perché per diversi mesi l’allarme venne dato più o meno ogni giorno, ogni volta che si avvicinavano degli aerei, non potendo sapere se sarebbero proseguiti verso nord od avrebbero sganciato sulla città. In alcuni casi, come a metà giugno 1944, si registrarono anche dieci o più allarmi al giorno, per più giorni di seguito. In totale vi furono 1265 allarmi dal 28 agosto 1943 al 18 luglio 1944, cioè una media di più di tre al giorno.)
Su 12.612 abitazioni esistenti al 16 ottobre 1943, ben 8054 risultarono distrutte o gravemente danneggiate, cioè il 63,9 % del totale (fonte: appendice all’Enciclopedia Treccani del 1948). Ancora maggior il tasso di distruzione se si considerano gli appartamenti, risultando del 67,23 % (fonte: Comune di Ancona, 1960).
In tutto, meno del 30 % degli edifici di Ancona rimasero illesi; 2783 appartamenti andarono completamente distrutti, 2287 furono semidistrutti, 4101 vennero danneggiati gravemente e resi inabitabili e 3293 vennero danneggiati leggermente. I vani completamente distrutti furono 7389 e quelli semidistrutti od inabitabili 19.332, lasciando senza casa 30.351 persone, metà della popolazione del centro urbano.
I rioni più colpiti, oltre a quelli già citati del Porto e di San Pietro (completamente distrutti: del rione Porto sopravvisse solo il 15 % degli edifici), furono quelli di Porta Pia, Piazza d’Armi e Palombella, cioè quelli attorno alla stazione ferroviaria e situati lungo la statale adriatica. Il moderno quartiere residenziale Adriatico, situato nella zona orientale di Ancona, fu invece quello meno colpito, subendo danni molto leggeri.
I danni complessivi superarono i 6.000.000.000 di lire dell’epoca. Il sottosegretario di Stato al Ministero dei Lavori Pubblici Pier Carlo Restagno, inviato a fare un sopralluogo ad Ancona nel 1946, commentò “Ho visto rovine. Non ho mai visto uno spettacolo come questo…”. Ancora in quel momento, alcune vie erano interdette all’accesso per il pericolo di epidemie derivanti dai corpi non ancora recuperati.
Subirono danni gravissimi anche il porto ed il cantiere navale, che d’altra parte erano gli obiettivi designati di molti dei bombardamenti.
Tra gli edifici di valore storico ed architettonico, subì gravi danni il Duomo di San Ciriaco, edificio romanico con quasi mille anni di storia: il transetto destro venne centrato dalle bombe e quasi completamente distrutto, e con esso la sottostante Cripta delle Lacrime ed i tesori artistici del Museo di Arte Sacra ivi ospitato. I lavori di ricostruzione – che permisero di scoprire, sotto il Duomo, i resti di un tempio classico dedicato a Venere – terminarono solo nel 1951. Il rinascimentale Palazzo del Governo, risalente ai secoli XIV-XV, venne colpito e crollò in parte (poté essere ricostruito, ma parte degli interni andò irrimediabilmente distrutta), e stessa sorte ebbe il Palazzo degli Anziani, costruito tra il XIII ed il XVII secolo, del quale andarono distrutte le volte del salone e dello scalone ed alcune sale, nonché gran parte delle fastose decorazioni interne, formate da rivestimenti di cuoio veneziano del ‘600. Subirono gravi danni la quattrocentesca Loggia dei Mercanti (della quale andarono perdute la volta del salone e parte degli interni; i restauri si conclusero solo verso la fine del secolo) ed il Palazzo del Senato (in stile romanico e risalente al XIII secolo: solo la facciata fu risparmiata dalle bombe, la ricostruzione ebbe luogo nel 1952).
In tutto furono otto (di cui quattro parrocchiali) le chiese distrutte dalle bombe; la perdita più grave fu quella della chiesa di San Pietro, in stile romanico e risalente al XII secolo, in larga parte demolita da due bombardamenti (uno del 1943 e l’altro del 1944); nel dopoguerra, anziché ricostruirla, si preferì sconsideratamente abbattere quel che ne restava, per costruire al suo posto degli edifici residenziali. La chiesa di Santa Maria della Misericordia, risalente al XIV secolo, venne completamente distrutta e mai più ricostruita; la chiesa ortodossa di Sant’Anna dei Greci, del XIII secolo, venne anch’essa distrutta da un bombardamento nell’aprile 1944 (campanile ed abside, uniche parti rimaste in piedi, furono demoliti nel 1948) e stessa sorte toccò alla chiesa di San Primiano nel rione Porto. In questo rione le bombe cancellarono anche Piazza San Primiano (l’antico accesso alla città dalla zona portuale) e via Saffi, la principale strada medievale del rione; nel rione di San Pietro subì gravissimi danni anche la chiesa di San Francesco alle Scale, costruita tra il XIV ed il XVIII secolo, alla quale le bombe abbatterono il campanile e demolirono gran parte dell’adiacente convento (dopo i restauri, la chiesa riaprì solo nel 1953). Nel rione di Capodimonte, anch’esso duramente colpito, fu distrutto il fronte a mare della Via Cialdini, la via principale del rione.
Furono irrimediabilmente distrutti dai bombardamenti il Museo Archeologico Nazionale delle Marche (alloggiato nel convento di San Francesco delle Scale), il cui crollo travolse gran parte delle collezioni ivi conservate, e la Biblioteca Comunale. Scomparvero sotto le bombe anche la Portaccia, antica porta medievale reminescenza della scomparsa cinta muraria, lo Scalone Nappi e lo storico Palazzo d’Avalos. Il neoclassico Teatro delle Muse, costruito nel 1826, subì gravissimi danni: avrebbe riaperto solo 58 anni dopo.
Vennero danneggiate la chiesa romanica di Santa Maria della Piazza (risalente al XI-XIII secolo) ed in modo grave la chiesa barocca di San Domenico, costruita tra il 1771 ed il 1778 (crollò parte della copertura ed andarono distrutte l’antica immagine dell’Incoronata, due statue di santi domenicani realizzati da Gioacchino Varlè ed alcuni dipinti, tra cui uno di Andrea Lilli), i cui restauri terminarono nel 1948.
Le opere d’arte della Pinacoteca civica Francesco Podesti, per fortuna, erano state preventivamente rimosse ed inviate dal soprintendente Pasquale Rotondi nella Rocca di Sassocorvaro, trasformata in deposito di opere d’arte provenienti da città a rischio bombardamento, già dal 1939.
Ci volle quasi un quindicennio perché Ancona potesse tornare alla normalità.

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